L’ultimo ‘pezzo’ della strage di via Palestro è una voce ruvida senza volto che ci catapulta 21 anni indietro, quando l’esposione della Fiat uno imbottita di esplosivo davanti al Padiglione di Arte Contemporanea falciò cinque vite. Ed è una voce che chiede perdono a una città, ma non risparmia immagini feroci definendo un “incidente di percorso” le vittime.
In video conferenza dal carcere, il collaboratore di giustizia Gaspare Spatuzza interviene alla prima udienza del processo a carico del presunto basista dell’attentato, Filippo Marcello Tutino, che a gennaio ha ricevuto un ordine di arresto, ultimo protagonista dell’attacco firmato da Cosa Nostra individuato dalla Procura milanese. A indicarlo come basista, “perché era quello che conosceva meglio di tutti Milano”, proprio Spatuzza.
“Perdono, chiedo perdono alla città, ai morti, ai loro familiari – esordisce la ‘voce’ – sono responsabile di 40 omicidi. Ho partecipato a cose mostruose, abbiamo venduto l’anima a Satana . Solo ora mi sto liberando dal male che avevo dentro, ho cominciato un percorso di ravvedimento per prendere le distanze dal mio passato”. “Quei morti furono incidenti di percorso, conseguenze non volute – spiega ‘la voce’, senza però manifestare alcuna flessione, sempre ruvida – in quella fase volevamo colpire i monumenti, non le persone. In via Palestro come in via dei Georgofili. Non so cos’è successo, ci fu un problema a parcheggiare la macchina, non so perché non abbiamo centrato l’obiettivo”. Spatuzza non era lì quando l’auto scoppiò. Era già a Roma per preparare altri ‘attacchi’. La ‘voce’ si fa più dolce, proprio mentre accusa l’imputato. “Io con Marcello ero più che amico, ero fratello, siamo cresciuti insieme. Con lui e suo fratello Vittorio ho condiviso scelte e persone sbagliate. Cristianamente li considero ancora miei fratelli, ma non condivido più le loro idee, i loro sentimenti”. Alla fine nella piccola tv la ‘voce’ si spegne e si vede nell’altra metà dello schermo Tutino, che ha ascoltato il collaboratore, alzarsi lentamente dalla sedia. (manuela d’alessandro)