giustiziami

Cronache e non solo dal Tribunale di Milano

Minenna, “Consob mi ha impedito di scoprire i guai di Unipol”.

I capi della Consob non hanno permesso di fare un’analisi veritiera del portafoglio bilanci di Unipol. Parola di Marcello Minenna, il responsabile dell’ Ufficio Analisi Quantitative della Commissione, che per sei volte si è seduto di fronte al pm di Milano Luigi Orsi per raccontare come la fusione tra Unipol e l’ex galassia Ligresti (Fonsai, Milano Assicurazioni e Premafin) mostri troppe criticità, con Unipol che sopravvaluta i suoi titoli strutturati messi a bilancio,  e detti le regole invece che rispettarle.

A fine novembre del 2012 viene affidato all’Ufficio Analisi Quantitative l’incarico di analizzare il portafoglio di titoli strutturati di Unipol. Il  12 dicembre l’autorità di vigilanza “non era ancora in possesso – svela il dirigente dell’ufficio – delle basilari informazioni sui derivati in pancia a Unipol nonostante nel prospetto del 13 luglio Unipol scriva che Consob sta svolgendo accertamenti su questi titoli”. Secondo Minenna, i dirigenti della Consob gli hanno rivolto tre richieste ‘sospette’: l’analisi “dovrà essere condotta prescindendo dagli effetti che potrà avere sugli stessi bilanci”, deve essere esaurita “in meno di venti giorni, entro il 10 dicembre” e deve far riferimento “alle date del 31 dicembre 2011 e 30 giugno 2012″, nonostante l’unica data davvero utile sia quella a cui si riferisce il bilancio.

Ma c’è di più: “non è una mera illazione – spiega – ritenere che Unipol abbia comunicato la sopravalutazione proprio di quei titoli che sapeva noi stavamo analizzando”. E di un’ipotetica interferenza da parte dell’ad di Unipol Carlo Cimbri, di recente indagato per aggiotaggio dalle procure di Milano e Torino, parla più esplicitamente quando racconta di una missiva del direttore generale “che a sua volta fa riferimento ad una lettera del 31 luglio 2013 spedita da Cimbri al presidente Vegas. Incredibilmente Cimbri lamenta che l’Ufficio Analisi Quantitative non avrebbe ancora svolto confronti nel merito con Unipol nonostante le dieci richieste ex art. 115 Tuf e le numerose mail e telefonate. (…) Rimanevo stupito che non si censurassero i contenuti della lettera di Cimbri ma mi si chiedesse conto della infondata sua doglianza”.

Accuse che Minenna restituisce al mittente. Così come quando spiega che l’analisi del portafoglio titoli strutturati al 31 dicembre 2011 “sarebbe potuta terminare ben prima di giugno 2013 se le proposte dell’Ufficio fossero state in qualche modo tenute in considerazione e se si fosse potuto operare in un’atmosfera lavorativa più serena”. Dichiarazioni da prendere con le dovute precauzioni – i contrasti tra Minenna e Consob sono noti – ma che accendono un faro su chi di solito vigila. (oriana lupini)

Torna libero Alfredo Davanzo
per i pm era “ideologo” nuove Br

Con la scarcerazione di Alfredo Davanzo, ritenuto l’ideologo del gruppo, si chiude la vicenda giudiziaria di quelle che la Procura di Milano individuò nel 2007 come le ‘nuove Brigate Rosse’.  Trevigiano,  57 anni, Davanzo ha finito di scontare il 23 maggio la pena ai 9 anni di carcere ai quali l’aveva condannato la Cassazione nel settembre 2012.  La notizia della sua liberazione, passata inosservata tranne che  sul sito ‘Informa – Azione’ e confermata da fonti legali,  va salutata naturalmente con favore, come quella di qualsiasi detenuto che abbia terminato un periodo di prigionia.

Ci dà tuttavia il pretesto di ricordare  l’indagine ‘Tramonto’,  coordinata da Ilda Boccassini, che ipotizava la presenza di un’organizzazione eversiva ispirata alla ‘Seconda Posizione’  dell’ala movimentista delle Brigate Rosse, nata attorno  al foglio semi – clandestino ‘L’Aurora’. Un gruppo le cui finalità sono state però catalogate come non terroristiche dalla Cassazione che aveva rimandato il processo alla Corte d’Appello di Milano facendo cadere l’aggravante che gli dava la patente di ‘nipotini’ delle Br. Secondo la Suprema Corte, la violenza evocata da Davanzo e dagli altri imputati che si riconoscevano nel Partito Comunista Politico Militare e poi si sono dichiarati “prigionieri politici” era “generica” ma senza finalità di terrorismo. Prima di Davanzo sono usciti dal carcere, tra gli altri, anche Massimiliano Toschi e Amarilli Caprio, mentre devono ancora terminare la pena solo Claudio Latino (11 anni e mezzo di carcere) e Davide Bortolato (11 anni), considerati rispettivamente capo della cellula milanese e di quella padovana. (manuela d’alessandro)

Un indagato, nove a interrogarlo
E’ l’area omogenea Expo, bellezza

Per fare un’area omogenea, bisogna omogeneizzare. E in effetti l’ultimo interrogatorio di Pierpaolo Perez, ex braccio destro di Antonio Rognoni, arrestato il 20 marzo scorso nell’inchiesta su Infrastrutture Lombarde, è parso ad alcuni il frullato, concentrato, di una serie di situazioni paradossali nate dallo scontro in procura tra il capo Bruti Liberati e l’aggiunto Robledo. Frizioni arrivate fino al Csm e a cui il numero uno della Procura ha di recente tentato di mettere un freno – per qualcuno un tappo – costituendo una “area omogenea” per le inchieste in qualche modo attinenti all’esposizione universale. Continua a leggere

Scontro in Procura, il documento del Csm con la proposta di archivizione

Così parlò il Csm. Nel documeno che potete leggere qui Csm su Bruti – Robledo sono contenute le conclusioni della Prima Commissione sulla cruenta battaglia in Procura cominciata con l’esposto di Alfredo Robledo di cui viene chiesta l’archiviazione. Secondo l’organo di autogoverno, “non si ravvisano ipotesi in alcun modo significative rispetto alle competenze della Prima Commissione in quanto non risulta essere stato turbato l’esercizio dell’attività giurisdizionale, sebbene siano state rilevate asprezze interpersonali e discutibili decisioni organizzative interne”.  Tuttavia, viene disposta la trasmissione della delibera, votata a maggioranza,  al pg della Cassazione sia per Bruti che per il suo vice e alla quinta commissione del Consiglio, competente per gli incarichi direttivi.  (m.d’a.)

Camera Penale, la sentenza ‘Infinito’ è copiata
e gli osanna di Boccassini inopportuni

Sulla storica sentenza della Cassazione frutto dell’indagine ‘Infinito’, la Camera Penale di Milano non partecipa all’esultanza mediatica e della Procura che ha accolto la conferma di 92 condanne. E neppure mostra di gradire gli “osanna” di Ilda Boccassini  successivi al verdetto che ha sancito la presenza radicata della ‘ndrangheta in Lombardia.

Non è naturalmente il merito delle accuse al centro della riflessione contenuta in una nota firmata dal Consiglio Direttivo. Quello che preoccupa gli avvocati, “nonostante lo scrutinio di legittimità della Cassazione”,  è che si sia arrivati a questo epilogo a partire da una sentenza di primo grado considerata una “riproposizione pedissequa del contenuto dell’ordinanza di custodia cautelare che, a sua volta, aveva recepito integralmente contenuto e parole della richiesta di applicazione di quelle misure cautelari”. “Un pericoloso gioco di scatole cinesi – così viene definito il cammino di questa indagine verso la condanna definitiva pronunciata il 6 giugno dalla Cassazione – in cui le motivazioni di una parte del processo, ovvero quella cui si riconduce la responsabilità delle indagini e, quindi quella più vicina, anzi necessariamente alleata agli inquirenti, diventa il tessuto motivazionale di un giudizio di condanna, senza che sia stato possibile in modo esauriente e convincente individuare in quella motivazione parti della stessa a cui poter affidare la testimonianza di una autonomia del giudizio del decidente e, quindi, di un valido esercizio della delicata funzione giurisdizionale”. Continua a leggere