giustiziami

Cronache e non solo dal Tribunale di Milano

Expo, ammissioni da tutti, ma il ‘compagno G’ resta una sicurezza

La storia non è un’amante fantasiosa, spesso ama riproporre  i copioni. In quello dell’inchiesta Expo tutti hanno ammesso piccole e grandi responsabilità,  qualcuno ha perfino confessato di avere con sé al momento dell’arresto i biglietti “con la contabilità delle tangenti”, tutti tranne Primo Greganti, Gianstefano Frigerio e Luigi Grillo, i tre politici già coinvolti in indagini che hanno segnato la storia d’Italia.  Fedele alla linea, il ‘compagno G’, come accadde in Tangentopoli, si è dichiarato innocente, sostenendo che lui si occupava della “filiera del legno”, mica degli appalti  e così ha fatto l’ex parlamentare della Dc Gianstefano Frigerio.  Grillo ha negato tutto come già fece quando finì indagato per la scalata ad Antonveneta e la storia in quel caso gli diede ragione perché venne assolto dopo una condanna in primo grado.  Gli altri invece si sono lasciati decisamente andare con ammissioni  di rado riscontrate   al ‘primo giro’ degli interrogatori di garanzia. L’ex udc Sergio Cattozzo rivela di avere provato a nascondere i bigliettini su cui annotava le mazzette ai finanzieri, il manager di Expo Angelo Paris da’ le dimissioni con tante scuse (“Colpa mia, mi sono fidato delle persone sbagliate, ho raccontato informazioni sulle gare che dovevano restare riservate”),  mentre l’imprenditore Enrico Maltauro ammette che sì, i fatti sono proprio quelli descritti nell’ordinanza. (manuela d’alessandro)

 

Arrestato Expo, il Ministro delle Finanze Vaticane sta con noi

Il Vaticano è, dopo la sinistra e la destra, il “terzo canale” nel mondo di quella “squadra” fortissima che vince tutti gli appalti della sanità e di Expo. Un amico di questa “squadra”, leggendo gli atti dell’inchiesta che ha portato in carcere anche l’ex Pci Primo Greganti, sembra essere l’uomo alla guida della Prefettura gli Affari Economici del Vaticano, una sorta di Ministero del Bilancio, il Cardinale Giuseppe Versaldi.  Il suo nome spunta da un giro di telefonate tra gli indagati, impegnati in un pressing che dovrebbe portare il manager Stefano Cetti a conquistare una poltrona nella società A2A.

Un, due, tre, vediamo le  porte a cui deve bussare il ‘giocatore’ Cetti.

“Sì, sì, Cetti lo devi vedere – suggerisce l’ex Dc Giandomenico Frigerio all’ex Udc ligure Sergio Cattozzo, in un’intercettazione del 23 dciembre 2013 che vede protagonisti i due futuri arrestati – perché gli ho detto, gli ho parlato di A2A nella prospettiva e gli ho detto, ci sono tre canali da seguire: il primo canale è il rapporto con la sinistra, devi parlare con Sergio perché ti fissano un appuntamento con Primo e li vedi tutti e tre perché tu l’hai mancato completamente, quella sera non c’eri, eri impegnato”; poi gli ho detto poi sulle banche che sono gli azionisti veri il canale è Gigi (Grillo,ex senatore di Forza Italia) ma anche lì devi parlare con Sergio un’altra volta e fissare un appuntamento con lui; poi c’è il terzo canale che è il mondo cattolico e lì ti faccio parlare io col cardinale con quelli lì, ma i primi due canali sono fondamentali, quindi parlane con Sergio al più presto”.

Un, due, tre. La parola “Cardinale” compare ben 9 volte nelle fittissime pagine dell’ordinanza, ma solo due volte è seguita da un nome. “Non posso parlare – comunica l’ex senatore forzista Luigi Grillo all’imprenditore Enrico Maltauro – ti chiamerò tra circa un’ora appena finisce la conferenza stampa del cardinale Bertone”. Che ci fa Grillo alla conferenza stampa? Misteri della fede. Sempre al telefono, Frigerio catechizza Cetti: “Il terzo canale è il mondo del Vaticano, dove noi abbiamo amici il Ministro delle Finanze che è il cardinale Versaldi e anche il Segretario di Stato con…quindi magari lì ti mando un mio amico il Walter Iacaccia che è legato a Versaldi…poi ti porta lui da Versaldi”. Sembra che questo incontro col Cardinale  poi si combini davvero: “Guarda che è il Cardinale – dice Frigerio al manager di Expo Angelo Paris, parlando di un incontro fissato per il “giovedì”- perché è proprio un mio amico il Cardinale …è una persona seria…uno di Alessandria…ma poi un uomo di quelli di una volta”.    (manuela d’alessandro)

Di questo passo i pm di Milano s’arresteranno tra loro

Non si può tacere, a proposito degli arresti di oggi per l’Expo sulla cui validità sapremo in seguito dai giudici, della tensione in procura a Milano tra due schieramenti, uno solidale con Alfredo Robledo autore di un esposto all’attenzione del Csm, l’altro con  il capo dell’ufficio Edmondo Bruti Liberati. L’inchiesta che ha portato agli arresti di oggi era a cavallo di due dipartimenti e quello che si occupa di turbativa d’asta fa capo a Robledo, il quale, fa sapere Bruti, non ha condiviso l’impostazione e di conseguenza non ha firmato gli atti.

Comunque vada a a finire questa storia di magistrati che si sbranano tra loro è chiaro che nulla sarà come prima. C’è materia per riflettere per tutti, a cominciare da chi ha sempre pensato alla magistratura come salvatrice della patria, ruolo che nell’immaginario di troppe persone la procura di Milano ricoprì una ventina di anni fa.

Ricordo il giorno in cui per ordine di  Milano il 13 marzo del 1996 venne arrestato il capo dei gip di Roma Renato Squillante nella vicenda che poi portò alla condanna tra gli altri di Cesare Previti. Ricordo bene il momento in cui  incontrai al bar del palazzo di giustizia Gerardo D’Ambrosio, allora capo della procura e da poco scomprarso. Gli chiesi: “Non avete più nessuno da arrestare e vi arrestate tra voi?”. D’Ambrosio, uomo di mondo al quale l’ironia non dispiaceva, sorrise amaramente.

Allora fu Milano contro Roma, al punto che quando un pm del capoluogo lombardo si recò nella capitale per gli accertamenti del caso, fu trattato con tale freddezza che ancora se lo ricorda. Adesso è un derby e la partita è ancora lunga. La prossima settimana Ilda boccassini responsabile del pool antimafia sarà sentita dal Csm, insieme a Ferdinando Pomarici e Nunzia Gatto.

Al quarto piano ormai è una conta, chi sta con chi, chi non è con me è contro di me. Come ai tempi della battaglia tra i pm di Salerno e di Catanzaro quando De Magistris faceva danni tra le toghe prima di farli da sindaco di Napoli, nemmeno con i potenti mezzi dell’ex Cavaliere sarebbe stata possibile un’opera di delegittimazione delle toghe così poderosa. Perché  le degenerazioni del correntismo, dei giochi di potere, di inchieste fatte o non fatte per mere ragioni di opportunità, di fascicoli dimenticati e spariti, dei veti anche dentro il Csm appaiono chiari anche ai non addetti ai lavori. Certo poi c’è sempre chi non vuol vedere e mette la testa sotto la sabbia, a cominciare dai politici che intervengono solo se e quando hanno posisibilità di operare strumentalizzazioni e di trarne dei vantaggi (frank cimini)

Formigoni e telecamere, amore finito. Il Celeste non le vuole in aula.

E’ proprio vero, solo i paracarri non cambiano mai idea. E Roberto Formigoni ha cambiato idea. Parliamo di telecamere. Da presidente della giunta regionale della Lombardia le aveva utilizzate per quasi vent’anni, comparendo soprattutto al tg regionale della Rai a colazione, pranzo e cena. Spesso era in diretta negli studi di corso Sempione, dove giornalisti fatti assumere dai partiti nel servizio pubblico, gli stendevano tappeti rossi affinchè esternasse con brevi cenni sull’universo mondo e trattasse tutti gli argomenti possibili e pure quelli impossibili.

Ma adesso non è più aria. Accade nell’aula della decima sezione penale del Tribunale di Milano dove Formigoni, ora nell’Ncd e presidente della commissione agricoltura del Senato è imputato nell’ambito del caso Maugeri di associazione per delinquere e corruzione insieme a Pierangelo Daccò, uomo d’affari sospettato di essere stato di casa al Pirellone, all’ex assessore Antonio Simone e altri. Per bocca del suo bravissimo avvocato Mario Brusa, il Celeste fa sapere di essere contrario alla presenza delle telecamere perché “snaturerebbero il processo”. La tesi ha un suo fondamento, intendiamoci. Ma fa specie che venga sposata da chi utilizzò a piene mani le telecamere come strumento di governo al fine di aumentare il suo potere personale. I giudici si sono riservati la decisione. Con ogni probabilità, come spesso accade in casi del genere, diranno di sì alle riprese solo per la sentenza. (frank cimini)